“Sono Francesca e da due anni sono amministratrice di sostegno di Maria, una giovane donna con disabilità.
Il mio compito è di affiancarla e sostenerla - ad una giusta distanza - affinché il suo desiderio di autonomia, raggiunto con determinazione superando ostacoli e difficoltà legati anche alle sue fragilità, possa mantenersi nel tempo.
L'attività come AdS è impegnativa ma allo stesso tempo gratificante, sin dall'inizio tesa alla costruzione di una relazione autentica con Maria, basata sulla reciproca fiducia e sul reciproco rispetto.
Recentemente mi sono occupata dell'acquisto di mobili per l'appartamento in cui vive. Si è trattato di mediare tra quelli che erano i desideri di Maria, quello che poteva permettersi e ciò che meglio si adattava alla situazione reale.
E qui ci sono state anche note divertenti tra me e Maria nel bel mezzo di un confronto generazionale: da una parte i suoi desideri ultramoderni e un tantino infantili e dall'altra i miei tentativi di dirottare le scelte verso soluzioni meno bizzarre e più ragionevoli (da lei talvolta definite "da vecchia").
Alla fine entrambe siamo soddisfatte del risultato finale!”
“Sono Maria, mamma di Paola, una ragazza con disabilità intellettiva grave di 23 anni.[...] La mia personale riflessione, dopo quasi sei anni come AdS di mia figlia, è quella di reputare la mia scelta, ancora più di prima, assolutamente indispensabile poiché le difficoltà che emergono giorno per giorno per una persona con disabilità sono molteplici e con mille sfaccettature tanto che non possono essere tutte prevedibili.
Scelsi di essere AdS di mia figlia quando, compiuti i diciotto anni, mi posi il problema della firma di un eventuale consenso informato di tipo medico, anche perchè Paola aveva il terrore di varcare la soglia degli ospedali e degli studi medici. La mia firma in quanto genitore, essendo maggiorenne, non era più valida.
Da lì entrai in un mondo tutto nuovo: con la nomina quale suo AdS potevo finalmente accompagnarla e sostenerla veramente in ogni ambito, tutelandola in tutte le sue difficoltà, quali l’ospedale, le cure mediche e ancora più importante aiutarla nella gestione di piccole somme di denaro. Infatti, il Giudice Tutelare, con il quale abbiamo avuto un primo colloquio, diede a mia figlia la possibilità di aprire un conto tutto suo e a me di gestirne le entrate e le uscite; ma contemporaneamente le permetteva di avere a disposizione una piccola liquidità da non rendicontare che le serviva per continuare a mantenere una certa autonomia [...] come andare a mangiare una pizza con gli amici o comprare semplicemente qualcosa che le serviva.
Oggi mi sento molto fortunata ad essere l’AdS di Paola perché l’appoggio che mi viene dato proprio dall'Associazione Comitato per gli amministratori di sostegno, a cui sono iscritta, mi dà la forza di non arrendermi davanti alle difficoltà burocratiche in cui è possibile ritrovarsi, sapendo che ci sarà sempre qualcuno che mi aiuterà a trovare una soluzione per tutelare quelli che sono gli interessi di mia figlia.“
“Mi chiamo Andrea e da oltre 4 anni sono amministratore di sostegno di un giovane uomo, affetto da grave malattia degenerativa.
Questo signore è giunto in Italia in modo rocambolesco ed è stato accolto da un gruppo di volontari e poi affidato alle istituzioni. Nel corso delle varie visite mediche gli è stata diagnosticata una terribile malattia progressiva. Non avendo alcun parente in Italia, la casa di assistenza a cui le istituzioni lo hanno affidato, ha chiesto al Tribunale un amministratore di sostegno. Ho accettato questo incarico che contempla la rappresentanza della persona. Questo incarico è molto impegnativo in quanto non prevede solo l'amministrazione delle seppur minime entrate economiche, ma soprattutto dei rapporti con gli operatori sanitari e nel creare un rapporto di fiducia e, direi amicale, con una persona sola.
Nei primi tempi ho cercato di capire, attraverso un interprete, i suoi bisogni e desideri. Ha chiesto un tablet ed un telefono per mettersi in contatto con i parenti in un paese lontano. Poi ho scoperto che gli piace in modo particolare il cappuccino e la cioccolata da spalmare. Purtroppo negli ultimi tempi, andare a trovarlo, vuol dire accorgersi sempre più degli effetti devastanti che la malattia produce nel suo corpo. È fondamentale il mio rapporto con gli operatori sanitari e con il Giudice Tutelare per non essere invasivi e togliere il minimo di autonomia e libertà che gli rimane.
Questa esperienza, pur dolorosa, mi aiuta a valutare i benefici che ho avuto dalla vita: la salute, una rete familiare e amicale, la fortuna di essere nato in questo Paese.
Ora il mio impegno è di accompagnarlo in questo momento doloroso.
Ecco l'amministratore di sostegno è la persona che condivide un tratto di strada con un'altra persona in condizioni di fragilità. È, a mio parere, una delle forme di volontariato più elevate.”
“Mi chiamo Gianni e nel 2013 ho frequentato un corso per Amministratori di Sostegno e ad oggi sono AdS Volontario. Nel 2014 il Giudice Tutelare mi ha affidato un incarico urgente per occuparmi di una donna con gravi patologie: non la conoscevo, ma mi sono da subito occupato della sua fragilità. La signora era ricoverata in ospedale e i medici avevano indicato che la stessa doveva ricorrere ad una assistenza continua e, dato che non aveva famigliari vicini e l’abitazione dove risiedeva non era adeguata alla sua permanenza, l’opzione migliore era il ricovero in una struttura protetta del territorio nella quale andavo a trovarla regolarmente. Col trascorrere di qualche anno la stessa non mostrava segni di miglioramento; durante la permanenza in struttura ho avuto modo di conoscere il suo compagno che le teneva molta compagnia. Purtroppo dopo circa 2 anni è venuta a mancare.
Qualche anno più tardi gli assistenti sociali della Comunità di Valle mi hanno contatto per richiedere la mia disponibilità a diventare AdS volontario di una persona che aveva subito un incidente e che io conoscevo molto bene: era il compagno della signora di cui ho raccontato che, a causa di un ictus, era rimasto paralizzato nella zona destra del corpo e aveva perso l’uso della parola. Mi sono offerto di aiutarlo vista la sua fragilità e situazione di solitudine. Non avendo famigliari diretti né vicini, dopo le dimissioni dall’ospedale è stato ricoverato in struttura protetta. Vado a trovarlo e ci parliamo con gli occhi o a gesti. Mi trasmette la sua dignità e la consapevolezza della sua malattia e della necessità di accettare la sua condizione. Abbiamo tentato alcune sedute con una logopedista per provare a permettergli di comunicare con facilità. È una persona amante della vita, della musica, solitamente si prendeva cura del suo orto e ora la sua vita trascorre regolarmente in casa di riposo.
Queste esperienze mi hanno arricchito come persona perché mi hanno permesso di essere di aiuto e di toccare con mano varie sfaccettature della fragilità.”